II capitolo
Nelle mie mani tre angeli
Gioia era la figlia di Stefania, una cara amica, un tempo collega, durante le mie prime esperienze nel mondo della scuola. Avevo subito legato con entrambe, per affinità di carattere, per gli stessi valori, per la sincerità con cui ogni sentimento veniva da noi esternato, a costo di andare contro corrente, per il carisma che attirava simpatia e fiducia rendendoci, sotto certi aspetti, quasi insostituibili. Malgrado il lavoro di Medico Legale, che la costringeva a rimanere molto tempo con i cadaveri, la serenità non l'aveva abbandonata, come il sicuro ottimismo nei riguardi della vita, a parte una volta. La scoperta di essere gravemente malata di cuore decretò per la donna un periodo assai difficile, perché dovette abbandonare la sua professione di medico chirurgo nei trapianti. Per quella specializzazione, conseguita all'estero, aveva trascurato il marito, permettendogli d'intraprendere altre strade. E neppure l' arrivo della piccola Martina era riuscito a tenere unita la coppia. Ma non ci mise molto a reagire, scegliendo l'unico lavoro che si poteva permettere, in attesa che un nuovo cuore le fosse donato. Con i cadaveri non avrebbe causato grossi danni, se si fosse sentita venir meno come durante l' ultimo intervento sul cuore di un bimbo. Quel giorno, supportata dal suo "Aiuto", un giovane medico che l'aveva seguita passo, passo, imparando la sua tecnica, non accadde l'irreparabile. "Io sto bene con i morti. Sanna. Non è stato facile, ma superato l'iniziale turbamento alla vista di corpi deturpati, o solo bianchi come la cera, che magari poco prima hanno espresso opinioni, desideri, progettato i loro giorni futuri, ho imparato a conviverci.. Mi sembra di far loro un po' di compagnia e, spesso, oltre alle ferite del loro corpo, riesco a scoprire anche quelle della loro anima, attraverso la pelle, i capelli, le unghie. Soltanto con i bambini non ci riesco, e quando mi tocca, per giorni e notti sto male. Coi bambini non c'è abitudine!", mi confidò una mattina, insolitamente turbata, come per una premonizione che riguardava, appunto i bambini. Quando tornò da me, stentai a riconoscerla: era molto dimagrita; i capelli tirati a crocchia concorrevano ad assegnarle l'aspetto, non più di una donna entusiasta della vita, ma di una donna, nei suoi ultimi giorni di vita. Entrando in casa, senza un saluto, senza una parola, si avvicinò alla finestra per guardarvi oltre. La giornata era serena; il sole mandava i suoi raggi al mare, che glieli rifletteva in un luccichio di colori, donando all'anima un senso di pace. Ma Gioia, quella mattina, non riusciva a trovar pace. Con voce sommessa, quasi impersonale, incominciò a rendermi partecipe della sua sciagura. "Sapevo che prima o poi avrei pagato per la mia trasgressione, ma non pensavo così tanto! Innamorarsi dell'uomo di un'altra può succedere. E poi l'amore non ha confini. Io mi sono innamorata di Luca e lui di me. Per acquietare i nostri sensi di colpa dicevamo che il matrimonio di entrambi soffriva di stanchezza e che prima o poi si sarebbe sciolto. Succede, non credi, Sanna?" Un singhiozzo e ancora: "Per quell'amore ero pronta a pagare in prima persona, non con il sacrificio di innocenti!", continuò in un grido disperato. Mi avvicinai a lei e, con dolcezza, la condussi al divano; le asciugai le lacrime con il suo stesso fazzoletto; le ravviai alcune ciocche di capelli che si erano perse sulla fronte; riuscii a dirle: "Continua, ti ascolto." Con un sospiro, nello sforzo di raccattare immagini per mostrarmele al presente: "Sono nei pressi della Scuola Materna, in attesa della mia piccola, quando mi si avvicina una donna, con un cappello ben calzato sulla fronte e una sciarpa intorno alla bocca. "Mi hanno detto che lei è medico; mia madre ha avuto un malore; è in macchina. Forse non è niente di grave. vorrebbe darle un'occhiata? Forse non è niente di grave. La prego, vorrebbe darle un'occhiata?", mi supplica concitata e ripetitiva. Mi avvicino all'auto e vedo una donna al sedile di guida, riversa sul volante, tuttavia vengo colta da un dubbio: la donna è giovane. Non faccio in tempo a realizzare in pieno il mio dubbio che una mano mi spinge sul sedile posteriore, dove giace Martina addormentata fra le braccia di un uomo, il cui viso è nascosto da una maschera, "E' Carnevale; in questi giorni sono in molti per strada con le maschere. E' uno scherzo!", mi dico, rivolgendomi a Martina, sicura che anche lei stia recitando una parte dello scherzo dei soliti amici burloni. Ma quando la donna al volante rialza il capo e avvia il motore: "La bambina dorme. Mi dia il braccio. Obbedisca per lei!",con una siringa in mano, l'uomo minaccia, additando Martina. "Questo è un incubo; devo solo svegliarmi!", assecondando l'incubo nel tendere il braccio, mi dico. L'effetto è immediato: cado in un sonno profondo. Al risveglio sono distesa su una lettiga e non so quanti minuti o quante ore siano trascorse. Mi stropiccio gli occhi; mi guardo intorno. Vedo pareti rigorosamente bianche; un letto su cui sovrastano lampade spente; un lungo tavolo con ferri, medicinali, contenitore termico; una sedia su cui sono posati camice, zoccoli, mascherina, cappellino; una fioca luce che illumina la sala dall'alto. L'angoscia mi prende allorché intravedo sul letto una piccola sagoma. Signore fa' che non sia mia figlia, prego disperata. "Che volete da me? Io non sono ricca e neppure i miei parenti. Ditemi, quella è la mia piccola? Che le avete fatto? Perché non si muove?", sono le parole di un bisbiglio che riesco a tirar fuori dalla gola secca, nel tentativo di scendere dalla lettiga. quasi certa che il mio cuore, già abbondantemente compromesso, avrebbe ceduto. Le gambe sono molli e tremo dalla testa ai piedi, ma riesco ad avvicinarmi al letto dove giace il corpicino. La penombra contribuisce ad aumentare la mia angoscia. Signore, fa' che non sia lei, ancora prego, alzando il telo bianco che lo ricopre. Non è lei! Allora, cosa vuole da me questa gente? Chi è il bimbo morto sul lettino? Mentre cerco le risposte mi viene spontaneo carezzargli le mani, la fronte e mi rendo conto che né mani né fronte hanno il rigor mortis, perché ancora tiepide; i battiti del cuore sono flebili ma regolari. Una estesa ferita alla testa mi fa supporre sia la causa del coma. Il bimbo è in stato vegetativo, tenuto in vita dalle macchine, che solo adesso riesco a vedere. All'improvviso, si accende un monitor: in una stanza, piena zeppa di giocattoli Martina, seduta accanto ad un tavolo, sta disegnando e colorando, mentre un clown la fa ridere con le solite smorfie da clown. La bimba ama disegnare e colorare e si incanta davanti ai clown, al punto che il suo giocattolo preferito è un pupazzo dalla sua stessa forma, Quando il padre gliel'ha regalato, ho dovuto ricorrere alle mie capacità di persuasione per farle comprendere che il "Bestinaio", il suo bel pupazzo, dal grande naso rosso e gli occhi tristi, deve rimanersene buono, buono a casa ad aspettarla. Il perché dello strano nome Martina non ha saputo spiegarmelo. Solo in seguito ho capito. Un giorno, dopo aver fatto benzina in autostrada eravamo entrate nel bar. Io avrei preso un caffé, Martina un succo di frutta e le solite patatine. "Mamma, guarda quanti Bestinai!", esclamò, additando una vetrina dove erano in bella mostra altri pagliacci come il suo. Mi venne in mente, allora, che il padre ci aveva detto di averlo comprato dal benzinaio, riferendosi al distributore dell'autostrada. Uguali i pupazzi, simili le parole per una bimba così piccola! "Mamma, il Bestinaio piange se io lo lascio da solo. Non vedi che ha gli occhi tristi?", cercò di intenerirmi affinché le concedessi di portarlo a scuola.. "Non si può, tesoro mio ; si potrebbe perdere in un altro zainetto. Allora sì che il Bestinaio sarebbe davvero triste nel ritrovarsi senza la sua mammina! Di ritrovarlo in un altro zainetto era già accaduto, mandando in tilt le maestre, che non sapevano come comportarsi a fronte di un simile dramma: Martina strillava per riaverlo, l'altra bimba perché non intendeva restituirlo, e quel giorno, per risolvere il contenzioso, fu necessario far intervenire me e l'altra madre. Mai più giocattoli che non fossero della scuola, dunque, per il quieto vivere di tutti, dopo la mia promessa di procurare all'altra bimba un identico Bestinaio" Il ricordo di quella normalissima pagina di vita vissuta sembrò lenire in un abbozzo di sorriso gli angosciosi momenti del racconto. Ma solo per poco perché il viso della donna riprese tutti i segni della sofferenza. "Signore, dalle Tu la forza. Non puoi abbandonarla proprio adesso!", intanto io pregavo con parole che solo a Lui sarebbero giunte. "Sono entrati in casa?", Gioia riprese il suo dire come ne avesse ritrovato il filo perduto. "Più che i disegni, Martina ama i colori, sempre brillanti e vivaci su fogli, che taglia a pezzettini per comporre un magnifico letto di fiori, su cui .addormentarsi, alla fine del gioco. Ma ora è stanca e scoppia a piangere: vuole la sua mamma! Sono disperata, tuttavia intravedo nell'espressione del clown un attimo d'incertezza. Forse il pianto della bimba gli tocca il cuore e decide di restituirmela. Invece, senza parlare, le punta una pistola giocattolo, dalla cui canna esce un ombrellino. Martina ride e finalmente si addormenta fiduciosa. Al contrario, io vengo assalita da un presentimento: di sicuro quel gesto nasconde un terribile messaggio. Il clown, infatti, con l'altra mano le punta sulla nuca una pistola vera. Lo sguardo è minaccioso, cattivo. Sento uno scoppio che mi lacera il cervello. Il video si spegne e a me non resta che urlare. Hanno ucciso mia figlia? Ebbene, anch'io voglio morire! Afferro un bisturi, ma non faccio in tempo perché vengo fermata dal tizio con la maschera, entrato senza che me ne accorgessi, per tenermi d'occhio. La disperazione rinvigorisce le mie ultime forze e nel divincolarmi lo ferisco alla bocca col bisturi. L'uomo, inferocito, impreca, sputando in un angolo sangue e saliva. Poi, mi sferra un pugno. Di nuovo perdo conoscenza e, di nuovo, mi sveglio sulla lettiga. Intontita e confusa alzo gli occhi verso il monitor; Martina dorme tranquilla con il suo Bestinaio, stretto al cuore. Non le è successo nulla! Grazie al cielo, è ancora viva! sollevata penso, mentre dalla parte opposta del monitor, mi giunge una voce stridula, metallica, contraffatta: "Come vedi tua figlia sta bene e non le accadrà nulla se tu collaborerai". "Allora non è il danaro che cercate!"esclamo. "No, se fosse quello avremmo già risolto ogni cosa. Tu sei medico e una volta operavi nel cuore delle persone. Sappiamo che hai cambiato lavoro e sappiamo perché, ma ora devi sforzarti di farlo, altrimenti..." "Altrimenti? Sono anni che non esercito in questo campo. E poi, come faccio senza le dovute analisi, senza un' equipe di supporto? Potrei sbagliare! E spiegatemi perché volete che intervenga su un cuore del tutto sano, quando a compromettere la vita del bimbo sono altre parti del suo corpo!" "Hai visto bene, il bimbo non ha problemi di cuore, ma è in coma irreversibile, a seguito di un incidente stradale." "Allora?" "Allora, abbiamo bisogno del suo cuore. Subito, prima che sia troppo tardi!" "Non posso, non ne sono capace! In nome di Dio, credetemi e ridatemi mia figlia!", supplico, disperata. "E' questo il punto: anche noi non possiamo!" "A far cosa? Ditemi almeno il motivo per cui non l'avete portato nel mio ospedale, dove ci sono gli specialisti più rinomati dell'intera nazione. Nel "Di Liso" , il reparto di cardiochirurgia che porta il nome di colui che fu il mio maestro, c'è un'equipe formidabile, che opera secondo le sue regole. Sono sicura che potrebbero salvare questa creatura. Ma dovete far presto!" "Te l'ho appena detto, non possiamo. Noi abbiamo bisogno del suo cuore! L'alternativa sarebbe tua figlia, molto più facile da trasportare in altri luoghi. Ora hai capito? Si aprirà la porta che accede al bagno; ti laverai con cura prima d'indossare quanto occorre per renderti sterile. Non devi compromettere quel cuore che ci serve del tutto sano. Non avere scrupoli, salverai un'altra vita. Al lavoro, poco è il tempo, non si può sprecarlo! " Al lavoro, poco è il tempo, non si può sprecarlo! Una frase inconsueta nella forma, ripetitiva che ho già sentito. Quando? Dove? Da chi? Mi tornerà in mente?"... Gioia si fermò. Aveva parlato con voce strozzata, come a se stessa, e adesso mi rivolgeva la parola, con gli occhi fissi nei miei, a cercarvi un barlume che la guidasse nel buio della sua coscienza per trovare un indizio, un ricordo. Ma la sua voce si faceva sempre più flebile; le frasi spesso incomplete, all'apparenza prive di significato. Presi le sue mani nelle mie, affinché vi attingesse coraggio, ma i battiti del suo cuore, che mi giungevano dai polsi, erano flebili, quasi per l'ultimo soffio. "Sanna , non ci sono parole che possano descrivere ciò che provavo in quel momento; mi sentivo di morire e sarei morta per davvero se il pensiero di ciò che poteva succedere a Martina non avesse fatto da fibrillatore. Ancora silenzio, e poi ancora al presente: "Non posso morire; devo prima salvare Martina. A fatica mi avvicino al tavolo dei ferri, dove intravedo dei medicinali. C'è il cardiotonico. Ne ingoio una compressa. I battiti mi tornano normali. Non ho scelta, ma. quando sono accanto al bimbo mi rendo conto che, per quanto in coma, sto per togliergli la vita. Con quale diritto? mi chiedo. Il coraggio mi manca, soprattutto ora che due grandi occhi si sgranano per fissarmi. "Il tempo è poco! Guai per te e tua figlia sprecarlo! Allora non hai capito!", la voce mi urla, con la frase leggermente modificata, per fermarsi all'apparizione del video. Di nuovo, il clown punta la pistola sulla nuca di Martina. Il video sparisce e la voce riprende: "E' l'ultimo avvertimento. Procedi o sarà la fine per lei. Al lavoro! Il tempo è poco, non si può sprecarlo!". Come in un flash, la frase, uguale e precisa, emerge dai miei ricordi, e tutto mi è chiaro. Io so di chi è quella voce, ma devo far finta di niente. Ora sono molto lucida. Capisco che altoparlante e video non funzionano in contemporanea. Due scoperte a mio favore, che in qualche modo , mi torneranno utili. "Ancora un minuto, fatemi rivedere la mia piccola solo un minuto. Sarà lei a darmi la forza", prendo tempo. Dopo un silenzio, che percepisco eterno, la voce mi accorda: "Solo un minuto!". Il minuto mi serve per fare una cosa che ritengo necessaria. Quando il video si riaccende, dopo essermi assicurata che l'uomo della colluttazione non c'è, prendo una garza e la inzuppo nella sua saliva, per poi passarmela sulla base dei capelli. Il mio lavoro da Medico Legale mi porta alla conoscenza che il d.n.a dell'uomo rimarrà ben leggibile solo agli occhi di chi se ne intende. Appena in tempo. "Ora sbrigati, e niente colpi di testa! Sai bene che possiamo controllare ogni tua mossa". E' giunto il momento; faccio la doccia; raccolgo i capelli sotto la cuffia; indosso il camice e calzo gli zoccoli; metto la mascherina. Mi stanno guardando? Che guardino pure! Il mio corpo non si è spogliato solo degli abiti, ma di ogni sensazione, di ogni pudore, ormai, come quello dei miei cadaveri. Mi avvicino al letto scegliendo la parte da dove ogni movimento sarà meno visibile. "Perché hai cambiato posizione?", sento rimbombante e spazientita la voce. Ho un tuffo al cuore, ma riesco a rispondere, anch'io spazientita, nel gesto di togliermi il camice: "Perché questa è la posizione giusta, l'unica che io conosca!". "Ed ora che fai?" Nella domanda, finalmente riesco a cogliere sgomento e insicurezza, quindi, sono certa che ora il ricatto è nelle mie mani. "Non se ne fa niente e se il Padreterno ha deciso che mia figlia ed io dobbiamo morire, ebbene, sia fatta la sua volontà. L' ho appena letta nello sguardo del piccolo, che mi volete far uccidere!", concludo, sperando di apparire credibile.. Ancora attimi sottratti all'eternità, poi la voce: "Scegli la posizione che ti è più congeniale. Tranquilla, tu non ucciderai nessuno: il bimbo è clinicamente morto; sono spasmi, riflessi involontari, i suoi; funziona soltanto il cuore, che a noi serve per salvare un'altra vita. Fa' presto, dunque, tua figlia è stanca di aspettare e anche noi! Poco è il tempo...", conclude la voce contraffatta, con una nota di stanchezza. Ho vinto una manche della partita. Inosservata, taglio un capello del bimbo in minuscoli pezzi; mi tolgo un guanto per conficcarli nel più profondo delle mie unghie; mi rimetto il guanto. Non mi resta che procedere... Non ti descriverò il seguito, Sanna, sarebbe come rivivere l' incubo che mi perseguita giorno e notte. Ho salvato Martina, che ora è lontana, al sicuro, con il padre, ma il prezzo pagato è insostenibile. Io non ce la faccio! Davvero, io non ce la faccio!" "Hai salvato la tua piccola , non avevi scelta. Qualsiasi madre avrebbe agito come te. Non tormentarti", le dissi, affinché si placasse, malgrado non ne fossi affatto convinta. Guardandomi come non avessi neppure parlato, continuò a raccontare, riallacciandosi al drammatico vissuto: "Dopo, mi iniettano qualcosa, che mi toglie forza e volontà. Sento che mi perquisiscono; mi spogliano e mi rivestono, mentre il tempo scorre senza tempo in una realtà senza suoni né colori. All'improvviso, uno scoppio. Quello sì che lo sento, insieme all'odore di bruciato. Ma forse è tutto nella mia testa, insieme al fumo e alle fiamme, che vi fuoriescono fino a raggiungere il cielo. Stanno distruggendo le prove, tuttavia, mi riesce di pensare prima di cadere in un profondo torpore. Quando riapro gli occhi, non sono sicura di essere ben sveglia. Forse sto navigando in uno dei miei sogni, perché sono cambiati odori e colori. C'è tanto fresco intorno a me e c'è un buon profumo di terra bagnata, che si mescola ad un profumo più familiare, inconfondibile. Con il capo sulla mia spalla e le braccine intorno al mio collo, la mia piccola dorme tranquilla. Entrambe siamo distese, quasi interamente coperte dal sottobosco della pineta. I rami degli alberi si intrecciano in una fitta vegetazione permettendo ai raggi del sole di penetrarvi in un intervallato, tenue luccichio. Quando realizzo in pieno che questo non è un sogno, incomincio a versare lacrime di gioia: Martina è con me e, al momento è quel che conta; al resto ci penserò dopo. Accarezzo il suo corpo, esplorandolo per accertarmi che non le abbiano fatto del male. Con le mie mani, queste mani!" Un singhiozzo, una pausa, e ancora: " Le vedi queste mani? Sanna? Queste mani hanno ucciso, ma queste mani faranno giustizia. Diglielo a Luca!.", furono le sue ultime parole, ultime e definitive, perché la stessa notte Gioia fu ritrovata nella sua casa priva di vita. In una mano stringeva una ciocca dei suoi capelli custoditi in una busta di cellofan; nell'altra la foto della sua bambina , e quella ritagliata da un quotidiano, raffigurante il bimbo rapito dal reparto di rianimazione. Un incredibile giallo, raccontavano i mass-media, giacché il bimbo era in coma, a seguito di un incidente stradale, in cui erano morti entrambi i genitori. La situazione era grave, tuttavia i medici non avevano perduto la speranza del risveglio. Coma permanente, dunque, non irreversibile, come le avevano fatto credere, senza darle il tempo di potersene accertare. Forse per questo il cuore di Gioia aveva ceduto, non prima, però, di aver fornito alcuni elementi utili alla Scientifica per indagare e scoprire altri colpevoli, dopo di lei, che, lasciandosi morire, si era spontaneamente dichiarata colpevole di fronte alla giustizia degli uomini e a quella di Dio. Chissà, forse, l'unica attenuante per lenire la sua disperazione sarà stato il pensiero che almeno il piccolo cuore che aveva espiantato pulsasse in un'altra giovane vita. Senza una madre, però. "Al lavoro! Poco è il tempo, non si può sprecarlo", era la frase udita nel reparto di cardiochirurgia, pronunciata da un'infermiera assunta temporaneamente al posto della capo-sala in maternità. Perché quella donna avesse accettato un lavoro del tutto precario, pur appartenendo ad una facoltosa famiglia, era un mistero per molti.. "Passione", imperturbabile e fredda, era la sua risposta. Svolgeva il lavoro con grande serietà, spronando i sottoposti a fare come lei. Nessun sospetto, dunque, neppure quando maggiore cura riservava al reparto di rianimazione dei più piccoli, controllando con minuzia, fino a rasentarne la paranoia, analisi e gruppi sanguigni. Una mente diabolica si era mostrata la sua, da non poter giustificare neppure in nome dell'amore materno, che aveva come scopo la salvezza del figlio, da tempo in attesa di un cuore compatibile, per continuare a vivere. Nessun perdono, dunque, né per lei, né per Gioia: madri disperate, che avevano avuto nelle loro mani il destino di tre angeli, perpetrando un infame delitto. Ma proprio attraverso le mani di Gioia, molto presto, Luca avrebbe scoperto la verità.
(continua)
Vally Sabbà
pubblicato il 23.03.2010 [Testo]